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Pubblicato il VI Rapporto agromafie e caporalato

Le stime dell’Istat riportate nel VI Rapporto agromafie e caporalato, grazie al contributo di Carlo
De Gregorio e Annalisa Giordano, evidenziano che, nel corso del 2021, sono stati circa 230 mila
gli occupati impiegati irregolarmente nel settore primario
(oltre un quarto del totale degli occupati del settore), in larga parte “concentrata nel lavoro dipendente, che include una fetta consistente deli stranieri non residenti impiegati in agricoltura”.

Anche la componente femminile, peraltro, è largamente coinvolta dal fenomeno, tanto che si stima siano circa 55.000 le donne che lavorano in condizioni di irregolarità. A ciò si aggiunga che le donne si trovano a vivere un triplice sfruttamento: lavorativo, per le condizioni in cui lavorano; retributivo, perché anche tra “sfruttati” la paga delle donne è inferiore a quella dell’uomo; e, infine, anche sessuale e fisico.

Peraltro, se è vero che la geografia del lavoro agricolo subordinato non regolare è radicato in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio con tassi di irregolarità che superano il 40%, in molte regioni del Centro-Nord i tassi di irregolarità degli occupati sono comunque compresi tra il 20 e il 30%. Mettendo a fuoco, nello specifico, il profilo degli occupati agricoli non regolari, si nota che il peso dei lavoratori migranti quasi raddoppia (in particolare quello dei cittadini comunitari); in oltre il 70% dei casi si tratta di lavoratori dipendenti e, tra questi, si osserva un maggior peso degli occupati che lavorano in regime di part-time. Ne consegue che, in corrispondenza dei lavoratori con tali caratteristiche, i tassi di irregolarità assumono valori decisamente più elevati rispetto al tasso riscontrato per l’intero settore agricolo.

Inoltre, nel comparto agricolo, si riscontra la tendenza a generare “lavoro povero” ove prevalgono individui, che pur avendo lavorato, mostrano redditi personali e familiari decisamente al di sotto dei valori medi. In particolare, in Italia circa 8,6 milioni di individui hanno in Italia un reddito disponibile familiare equivalente annuo inferiore alla metà del reddito mediano misurato su tutti i residenti (cioè inferiore a 8.300 euro). Escludendo i lavoratori stranieri non residenti, poco meno di un terzo dell’occupazione agricola (pari a oltre 300 mila unità) ricade in questa area a bassissimo reddito, con un’incidenza che è il triplo di quella media, senza contare un ulteriore 3,7% di occupati agricoli che vive in famiglie prive di segnali di redditi emersi.

Il VI Rapporto agromafie e caporalato, con gli approfondimenti territoriali mette in luce l’evoluzione del caporalato nelle filiere produttive agroalimentari, come già evidenziato nel IV Rapporto. L’appalto ed il sub appalto illecito, rappresentano, infatti, l’evoluzione dell’intermediazione illecita di manodopera. Un’evoluzione diventata un modello d’organizzazione del lavoro per imprenditori senza scrupoli che, pur di essere più competitivi e di aumentare i propri margini di profitto, violano contratti di lavoro, la dignità delle persone e le Leggi dello Stato. Un “modello” che non interessa solo il comparto agroalimentare, ma che parte dai campi e tocca tutto il sistema produttivo.

Si passa così agli studi di caso territoriali, compiuti attraverso un’accurata indagine di campo, in continuità con i Rapporti precedenti, coniuga l’analisi della letteratura (Prima e Seconda parte) con le informazioni provenienti direttamente dagli attori sociali ed economici che operano a vario titolo all’interno del settore agro-alimentare e interloquiscono – in modo sovente separato, ma anche in modo congiunto - con le aziende e con le maestranze in esse occupate, come accade ai membri delle organizzazioni sindacali.

Ogni analisi territoriale parte con una dettagliata ricostruzione del tessuto economico e produttivo regionale e territoriale, fornendo dati sulla presenza delle imprese agricole e sull’occupazione. Questi dati, unitamente alla chiave di lettura che ci propone il Rapporto stesso riguardo al metodo di analisi sull’economia sommersa, ci mettono immediatamente dinnanzi ad un’iportante evidenza, ovvero l’ampia distanza tra la ricchezza prodotta nei territori osservati, i bassi salari e le scarse giornate di lavoro registrate.

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